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Freiya, La Fata Dei Vani

Freiya, la fata dei Vani, dea di bellezza, amore, fertilità e seduzione. Ma anche Signora della guerra e delle arti magiche. Padrona del Seidr, la magia oscura, veggente e guaritrice. Tutto questo si dice di lei, spesso erroneamente considerata la sposa di Odino, vedremo poi il perché. Freiya è una divinità dal sapore ancestrale, strettamente legata al remoto passato, all’età dell’oro, al momento appena precedente alla “Caduta degli dèi”.

Asi e Vani

Per meglio comprendere il terreno sul quale ci avventureremo parlando di Freiya, è necessario avere ben presente la differenza tra i due gruppi di divinità presenti nel pantheon norreno: gli Aesir (Asi) ed i Vanir (Vani).
Le fonti ci raccontano che gli Asi fossero divinità guerriere, dedite alla conquista, mentre i Vani fossero divinità pacifiche, più legate al mondo agricolo.
Se non vi è balzato all’occhio, vi faccio notare subito un’analogia particolarmente interessante con il mito induista dei Deva e gli Asura. I primi sono divinità di luce, di creazione, mentre i secondi sono figure più oscure. Questa somigliananza, come vedremo, è tutt’altro che casuale.

Cosmogonia nel mito norreno

Come quasi tutti i miti cosmogonici, anche quello norreno parla di un caos primordiale. Un abisso degli abissi dal quale sorsero due mondi. Uno dell’ombra, l’altro del ghiaccio. Da qui nacque anche la terra dominata dal fuoco ed infine un regno chiamato Jotunheim, un mondo dominato da ghiacciai e vulcani. Questa parrebbe essere, in accordo con la narrazione mitologica, la terra di origine della stirpe degli Asi, alla quale appartiene Odino.

In principio, ad abitare questo mondo era la razza dei giganti, il cui capostipite era Ymir. Il gigante primordiale era nutrito da Audhumla, la mucca sacra. (Anche in India, guarda caso, la mucca è tutt’ora considerata sacra). Sembra che ad un certo punto questa mucca, affamata, abbia iniziato a leccare il ghiaccio salato, finendo col modellarlo. Da questo avvenimento ebbe origine il primo degli dèi, Buri. Egli ebbe un figlio, il quale, unitosi ad una gigantessa, diede i natali alla stirpe degli Asi.

Quando questi crebbero di numero, destarono la preoccupazione dei giganti, i quali cercarono di sottometterli. Gli Asi, tuttavia, si ribellarono ai progenitori e dichiararono loro guerra. In aiuto agli Asi si fece avanti Loki, appartenente alla stirpe dei giganti, ma emarginato da essi per via della sua bassa statura. Egli dominava il fuoco e conosceva i segreti della sua stirpe.

Il conflitto si concluse con la vittoria degli Asi e la cacciata dei giganti in luoghi remoti come Jotunheim.

Il passaggio generazionale

Il tema del conflitto generazionale, che si conclude con la disfatta degli antenati e la loro definitiva dipartita, è comune a molti racconti mitologici. Prendiamo ad esempio la Teogonia di Esiodo, che narra la vicenda della sconfitta dei giganti per opera di Zeus e dei suoi fratelli. Tutti questi dèi sono figli dei giganti, ma formano una nuova stirpe di esseri dalle sembianze più antropomorfe, seppur con poteri sovrannaturali, gli dèi, appunto. Questa nuova generazione, esattamente come avviene nel mito norreno, è decisa a fare tabula rasa del passato. Non viene mai contemplata l’eventualità di convivere con i progenitori. Da un lato, il mito norreno ci dice che la volontà dei giganti è quella di dominare la loro progenie, dalla quale si sentono in qualche modo minacciati. Nel mito greco riportato in Esiodo, invece, troviamo addirittura una profezia fatta a Crono, secondo la quale sarebbe stato uno dei suoi figli a spodestarlo.

Ci viene da pensare che si tratti di una mera questione di interesse materiale, potere, ambizione. Tuttavia il gesto simbolico di “uccidere” i progenitori, anziché attendere che essi cedano il passo per aver fatto il loro tempo, ci parla di una generazione di esseri che è pronta a compiere un salto evolutivo.  Se pensiamo alla storia dell’uomo, non è difficile constatare che la sua narrazione è piena di eventi simili. Di generazioni di uomini che vengono alla ribalta anche con prepotenza, per mettere in atto un cambiamento drastico, necessario alla crescita evolutiva.

La creazione dell’uomo

I nuovi dèi presero possesso del creato e si stabilirono in Asgard (=il giardino degli Asi). Decisero in prima istanza di organizzare l’universo, con l’intento di mettervi ordine. Crearono ad esempio Midgard (=terra di mezzo), con l’intento di dividere il regno del ghiaccio da quello del fuoco. E qui simbolicamente potremmo fare una riflessione: si separa il ghiaccio (acqua) dal fuoco. Il primo simbolo di femminile, il secondo, rappresentante invece il maschile. Una separazione che nel mito viene descritta come puramente materiale, ma che di fatto è una separazione della coscienza, che si divide per fare l’esperienza del duale e comprendere che la dualità non esiste. Chiusa questa doverosa parentesi, proseguo.

Creata questa nuova terra verdeggiante ed accogliente, il disegno degli dèi prevedeva di porvi a dimora una creatura appositamente creata: l’uomo.

Il mito qui si fa più fumoso, per via delle tante trasmissioni orali, solo in epoca cristiana messe in forma scritta. Sembra che Odino, con il fratello Hoenir e Loki, si misero a pensare ad un sistema per mettere in pratica questo, che pare esser stato un piano suggerito da Loki stesso.

Il corpo degli esseri umani fu plasmato da Odino a partire da due alberi: il frassino per l’uomo e l’olmo per la donna. La scelta del frassino può essere giustificata dal fatto che il legno di questo albero è molto robusto, sebbene flessibile. Veniva impiegato per costruire archi, ma anche ruote per i carri, per la sua resistenza. L’olmo, da molti considerato albero sciamanico, è invece noto per le sue proprietà curative e cicatrizzanti. Ne parlava già Plinio il Vecchio, raccontando come venisse impiegato per curare le ferite dei soldati in battaglia.

Per concludere la creazione, Loki infuse nell’uomo il “calore interiore”, Hoenir il dono della ragione, infine i tre dei lasciarono la Terra di Mezzo, per consentire alle creature di vivere nel mondo creato per loro e prosperare.

I Vani

Il mito norreno prosegue raccontandoci di un’altra stirpe divina chiamata Vanir, presumibilmente proveniente da Vanheim. Pare che le due stirpi fossero da sempre in conflitto tra loro. Tuttavia questa circostanza non è da tutti riconosciuta, poiché testimonianze ci mostrano come i Vani fossero divinità contadine, legate ai cicli naturali. Cosa che richiama molto i culti neolitici della Grande Madre, di cui ho ampiamente parlato su questo blog.

Si evince, dalla narrazione mitologica, che i Vani fossero esperti di arti magiche, che fossero in grado di divinare e che fossero maestri nel seidr, una forma di sciamanesimo antico, con la quale si acquisiva la capacità, fra le altre, di controllare la mente. Tutto ciò in netta antitesi con le abitudini guerriere degli dèi Asi, veri e propri conquistatori.

Guerra fra Asi e Vani

La guerra fra Asi e Vani sembrerebbe non avere tempo, sebbene si evince dal mito che essa durò per parecchi anni. Ad un certo punto le due fazioni decisero di porre finalmente fine al conflitto, concordando un trattato di pace ante litteram. L’accordo prevedeva, usanza peraltro allora molto in voga in guerra, di scambiarsi ostaggi. Fu così che Freiya e suo fratello Freyr dei Vani andarono a vivere presso gli Asi, mentre due degli Asi si trasferirono in Vanheim.

Freiya

Freiya visse dunque in Asgard insieme ad Odino e agli altri Asi. Tra questi però i Vanir non godevano di una buona reputazione. Si diceva praticassero magie oscure, che fossero particolamente lascivi e che usassero accoppiarsi tra loro. Questa modalità, che prevede solo unioni tra consanguinei, era molto in uso presso alcune tribù, le cui origini si perdono nel tempo. L’intento di sicuro era quello di preservare il patrimonio genetico della stirpe.

Odino però comprese subito l’importanza strategica di avere presso di sé una dea appartenente alla compagine nemica. Esattamente come era accaduto con Loki, nella guerra contro i giganti, questo poteva essere un vantaggio. Per questa ragione si fece insegnare l’arte magica del seidr, che lo rese invincibile rispetto agli altri dèi.

Freiya, dunque, insegnò ad Odino le arti magiche  e gli conferì l’invincibilità, che lo mise in condizione di compiere quel sacrificio, che gli valse la conoscenza delle Rune. Ma questa è un’altra storia.

Origini

Figlia della gigantessa delle montagne Skadi e del gigante del mare e dei venti Njordhr, Freiya è sorella di Freyr. Arriva ad Asgard, come si è detto, a seguito dell’accordo che pone fine alla guerra tra Asi e Vani. Proprio come Freiya con il fratello, anche i genitori risultano essere figure complementari. Entrambi rappresentano aspetti della natura umana, opposti che si attraggono e respingono continuamente. Allo stesso modo Freiya e Freyr, pur presentando molti aspetti che li accomunano, conservano caratteristiche, che li pongono agli antipodi.

Freiya, “la fata dei Vani”, ricordata così nei poemi, perchè possiede i segreti della magia. Si diceva di lei che fosse, come quelli della sua stirpe, lasciva. Si porta a supporto di questa tesi il racconto della collana, che ha un sapore quanto mai contemporaneo. Basti ricordare l’intrigo della collana, che contribuì a demolire l’immagine di una già compromessa regina sui generis, Maria Antonietta. Sembra infatti che Freiya per ottenere Brisingamen, la collana creata dai nani, in grado di donare a chi la possiede il dono di controllare la mente, avesse offerto il suo corpo. Questa cosa, tuttavia, non è chiara.

Caratteristiche

La “fata dei Vani” è spesso rappresentata come adorna di un abito a fiori o di colore verde, in quanto dea di bellezza e prosperità.  Si dice che pianga lacrime d’oro nell’attesa del ritorno del marito Odr. Interessante la similitudine tra Odr ed Odino, così come tra Freyr e Freiya ed ancora tra Freiya e Frigg, moglie di Odino.

La ragione risiede nel fatto che tutte queste figure mitiche incarnano archetipi simili, oppure sono diverse, ma riflettono le caratteristiche di uno stesso archetipo. Freiya è rappresentazione dell’archetipo della madre e della moglie. E’ infatti considerata divinità di fecondità, ricchezza, viene invocata dalle partorienti a protezione del travaglio.

Non dimentichiamo mai, quando analizziamo il racconto mitologico, che l’archetipo, in quanto “modello primordiale”, costituisce la chiave interpretativa dello stesso. La parola deriva infatti dal greco e significa “modello primo”. C.G. Jung riteneva che si trattasse di idee primarie, simboli, contenuti nell’inconscio collettivo ed attraverso il quale esso può essere decodificato.

Ma, tornando a Freiya, è anche dea della seduzione e della guerra. Incarna perciò passioni terrene anche estreme. Si dice che scendesse sui campi di battaglia assieme alle Valkyrie, per selezionare coloro i quali l’avrebbero raggiunta in Walhalla.

Gli animali sacri a Freiya sono il falco, per la sua capacità di vedere anche da molto lontano ed il gatto, creatura notturna dall’istinto spiccato. Ma lo è anche la scrofa. E qui è doveroso un appunto, sul fatto che l’animale sacro al fratello Freyr fosse il cinghiale. Ma soprattutto un parallelismo è doveroso con la dea greca Demetra. Siamo di fronte ad una costante, ancora una volta. Anche a Demetra era sacro il maiale ed in suo onore maialini venivano sacrificati ed offerti. Questo perché anche Demetra, come Freiya, è legata a doppio filo con una divinità femminile primordiale, preesistente all’avvento degli déi olimpici, emanazione di fecondità e prosperità.

Riscrivere la storia

Come avrete notato, ci troviamo ancora una volta davanti ad una figura mitologica, che ha senza dubbio alcuno subìto le conseguenze del trascorrere della storia. Le generazioni seguenti si sono premurate di relegare a ruoli secondari certe figure mitiche chiave nei pantheon particolarmente antichi, per consentire ad una certa cultura maschilista dello spirito di primeggiare. La stessa sorte, che abbiamo visto toccare ad altre figure, Ecate fra tante, è stata riservata anche a Freiya. Quindi pantheon diversi, civiltà lontane, ma medesima sorte, a quanto pare.

Il motivo è presto detto. Freiya è “l’erede” sincretico di una divinità femminile molto più arcaica. Testimonianze antiche ci riportano che la stirpe dei Vani preesistesse a quella dei rivali Asi. Ci raccontano come si trattasse di popoli pacifici dediti in prevalenza all’agricoltura. Ci troviamo quindi, di fronte ad un racconto considerato mitico, ma che poi tanto inventato non è. Attiene infatti alla realtà, la narrazione secondo la quale popoli provenienti da regioni indoeuropee, si fossero spinti in Europa, conquistandola. Da un punto di vista spirituale, la conquista valse loro anche la supremazia dei cosiddetti “nuovi dèi”.

Teogonie a confronto

Ancora una volta prendiamo spunto da Esiodo, il quale racconta molto bene questa storia. Gli dèi Olimpi subentrarono a quelli preesistenti. Anch’essi legati all’agricoltura ed al ciclo delle stagioni. In una società prevalentemente matriarcale, in cui la donna era tenuta in altissima considerazione. Con l’arrivo degli indoeuropei, popoli dediti alla guerra ed alla conquista, i “nuovi dèi”, finirono col soppiantare le antiche divinità pacifiche e benefiche. Relegarono le donne e la divinità femminile ad un ruolo marginale, frammentando spesso il “femminino sacro”, disperdendone le caratteristiche e la complessità in tante figure diverse, che però finiscono gioco forza per avere caratteristiche molto comuni fra loro e spesso per sovrapporsi addirittura.

Anche il mito norreno, raccolto e messo in forma scritta da un abate cristiano, Snorri Sturlson, presenta le stesse caratteristiche.

L’avvento dei “nuovi dèi” e la sconfitta della Grande Madre

Qui abbiamo i Vani, dei quali non si sa molto, a differenza dei rivali Asi. Si è detto di come è testimoniato da fonti scritte, l’invasione dell’Europa da parte di tribù indoeuropee a danno della civiltà che vi abitava e prosperava. Da un manoscritto del 14° secolo si apprende che un popolo chiamato Tyrkir e proveniente dall’Asia, sarebbe arrivato in Europa, sotto la guida di un capo chiamato Odhin. L’arrivo di queste popolazioni nomadi e dedite alla guerra, spazzò letteralmente via il culto religioso preesistente, basato sui cicli naturali e di provenienza sconosciuta, almeno in parte.
Questo avvenimento potrebbe aver influenzato la narrazione mitologica, rendendo Odino il dio che conosciamo, padre di tutti gli dèi e signore della guerra.

La cultura di questi popoli fu totalmente spazzata via, lo ribadisco, fatti salvi alcuni aspetti sincretizzati dal nuovo culto. Ma questa fu una gigantesca rivoluzione culturale ante litteram. Una di quelle che alla storia non piace ricordare. Poichè se ammettessimo questa versione, dovremmo porre l’accento sulla brutalità culturale, che persiste anche oggi e che ci ha privato delle nostre vere radici, esautorando anche la figura femminile, nella storia e nella cultura. La Dea Madre, relegata a comparsa in una narrazione, che continua ancora adesso, con le donne che hanno un ruolo inesistente nelle religioni monoteiste. In molti casi sono loro preclusi i luoghi di culto, per dirne una.

Le mie conclusioni

Chi potrebbe continare dunque ad accettare un certo stato di cose, sapendo come esso si sia instaurato? Spero pochi.

Freiya resta una divinità antica e resiliente, un’ erede involontaria della Grande Madre. Di quella “Eva primordiale” della quale ogni donna è portatrice genetica inconsapevole fin dalla creazione. Di quella figura fumosa e poco considerata dalla storia, di cui si narra persino in Enuma Elish, l’antico poema della creazione sumero, forse il più antico racconto mitologico.

Ebbene, sappiate che lo studio del mito, serve a risvegliare  in noi una conoscenza che già abbiamo. A richiamare il legame che ancora abbiamo con quell’antico passato. A riscoprire chi siamo. Ma anche e soprattutto a prendere coscienza del potere, che ci è dato dalla consapevolezza di noi stessi. E chi è consapevole, difficilmente si fa manipolare.

 

 In copertina “Le lacrime di Freiya” di Anne Marie Zilberman

 

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